“Non fermate Milano per un sospetto”. Parla Antonio Di Pietro


Di Pietro (Ansa)
l'Intervista
L’ex pm, ed ex ministro delle Infrastrutture, parla dell’inchiesta che coinvolge il comune di Milano: “Attenti a criminalizzare sviluppo e impresa. Questa è un’inchiesta ‘a strascico’ e non c’azzecca niente con Tangentopoli. Si indaga a tappeto, e anche sui giornali si confondono le prove con le opinioni”
”Non si può buttare via il bambino con l’acqua sporca”, dice Antonio Di Pietro, piegando appena in avanti la voce. “Perché in questo caso il bambino potrebbero anche essere dei reati veri, se ci sono. Ma l’acqua sporca rischia di diventare lo sviluppo di Milano, lo slancio urbanistico, l’efficienza amministrativa, l’attrattività economica. E a forza di criminalizzare tutto, fai un danno doppio”. Il tono è grave, ma non apocalittico. Realista, semmai. “Trovo inoltre spaventoso questo tifo mediatico e giornalistico, che sta costruendo in tv e sulle colonne dei giornali dei colpevoli che ancora non esistono”. L’ex pm, ed ex ministro delle Infrastrutture, parla dell’inchiesta che coinvolge il comune di Milano e che qualcuno paragona a Tangentopoli. “Non c’azzecca niente con Tangentopoli”, dice lui. Che tiene a chiarire un punto: “Io i magistrati li rispetto. Anche perché l’inchiesta non la conosco nei dettagli e non ho elementi per dire che sia infondata. Qualcuno può anche averci mangiato sopra ai piani urbanistici di Milano. E’ possibile. Quello che voglio dire è che è il metodo a lasciarmi perplesso. Mi pare l’ennesima inchiesta fondata sul metodo della pesca a strascico. Non si indaga su un reato, ma su un intero fenomeno”. E la differenza con Mani Pulite qual è? “All’epoca noi cercavamo chi prendeva i soldi, chi incassava vantaggi tangibili. La bustarella, il conto all’estero, il bonifico svizzero. Oggi in queste inchieste nuove è tutto più ‘sofisticato’. Le tangenti si sono ingegnerizzate, per così dire. Le utilità passano attraverso consulenze, incarichi, rapporti professionali. Diventa tutto più opaco, più difficile da dimostrare, più facile da sospettare. Ma anche più rischioso da interpretare”. Che vuol dire? “Che magari i magistrati pensano che una consulenza data a qualcuno sia in realtà uno scambio corruttivo, ma forse, più semplicemente, quella consulenza è invece una reale necessità. Perché per costruire i grattaciali di Milano non ti puoi affidare a un geometra di Canicattì. Ma a chi quel lavoro lo sa fare, perché l’ha già fatto e lo fa continuamente”.
Dunque “pesca a strascico”, dice Antonio Di Pietro. La metafora marinara, usata ormai da molti anni, serve a rendere l’idea di un’indagine che non colpisce in profondità. Che non è fondata su una prova. “Ricevi una denuncia, magari vaga, magari fatta da qualcuno che si lamenta perché gli hanno messo un vaso di fiori sotto casa. E da lì parte un’indagine a tappeto, enorme, su tutto e su tutti: le opere pubbliche, i cantieri, i costruttori, gli incarichi, le consulenze...”. Il rischio è la maionese. “Che si mescola con i giornali, con l’opinione pubblica tenuta sulla garitta, con le trasmissioni televisive costruite sullo stesso schema del processo di Biscardi”.
Poi, come spesso accade nei suoi discorsi, alla gravità Di Pietro fa seguire una punta di sarcasmo. Una fenditura ironica nel ragionamento. “Mi pare che oggi vadano molto di moda i novelli investigatori”, dice. “Tutti che vogliono indagare, tutti che commentano in tempo reale, tutti che decidono chi è colpevole e chi no. Non in base alle prove, ma in base al tifo”. E lo sguardo del vecchio pm a questo punto si allarga rapidamente oltre Milano. Sicché fa due paragoni pesanti, Di Pietro. Evocando Genova e Garlasco come casi limite, di degenerazione giudiziaria e mediatica: “A Genova abbiamo visto una cosa simile a quella di Milano. Un’indagine che ha portato alle dimissioni del presidente della regione Giovanni Toti e alla caduta della giunta, prima ancora che si arrivasse a processo. E Garlasco è il modello più inquietante, se vogliamo. Il processo mediatico che prende il sopravvento su quello penale. Si creano percorsi paralleli, si costruiscono colpevoli a tavolino. E alla fine non si capisce più niente”. La notte in cui tutte le vacche erano nere? E qui Di Pietro dice una frase sonora: “L’opinione, alla lunga, si sovrappone alla prova”.
Anche il sindaco Beppe Sala è indagato. “Ecco, io aspetto di vedere che prove hanno”, dice. “Gli contestano l’induzione indebita a dare o promettere utilità. Ma bisogna chiedersi: questa utilità era per lui? O era per la città? Perché se un sindaco fa qualcosa per portare a casa un risultato pubblico, non vedo dove stia il reato. Se poi affidare una consulenza a uno che ha già lavorato col comune diventa una colpa, allora, lo ripeto, chi si dovrebbe chiamare? Il geometra di Canicattì per costruire i grattacieli?”.
E proprio questo paradosso lo conduce a un discorso più ampio: “Attenzione alla cultura del ‘no a prescindere’. Alla criminalizzazione dell’impresa e dello sviluppo. E’ lo stesso fenomeno che vuole bloccare la Tav, che ha ostacolato il Tap, che ha detto no all’alta velocità a Firenze. Quella non è onestà, è regresso. Poi meno male che oggi l’alta velocità ce l’abbiamo, e pure il gasdotto dalla Puglia. Ma nel frattempo quanti danni abbiamo fatto? Io capisco che si debba vigilare. E’ giusto. Ma bisogna anche sapere che una città non può vivere nel terrore del sospetto. Fate i processi, ma non bloccate Milano. Milano è l’unica città italiana che compete davvero con le capitali europee. E’ la metropoli più occidentale d’Italia. Fermarla sarebbe un suicidio nazionale”. E inevitabilmente torna il confronto con Mani Pulite. Ma non per mitizzarla. Per sottolinearne la distanza. “Non entro nel merito della gestione della Procura di Milano, per rispetto delle istituzioni. So però che il procuratore Marcello Viola è una persona stimata e stimabile. Ho letto il suo curriculum, mi sembra solido. Il punto non è il singolo magistrato. Il punto è il sistema investigativo nel suo complesso”. E con un filo di ironia, Di Pietro lascia così andare l’ultima frase, come se non fosse un epilogo, ma una profezia: “Possono anche decidere di rifare una piccola Mani Pulite ogni cinque anni, se gli pare. Basta che nel frattempo non ci troviamo a vivere in un paese dove non si costruisce più nemmeno un marciapiede”.
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